Grazie ad un’etichetta dettagliata, ora è facile sapere se questo amatissimo alimento è fresco o surgelato
Fino a qualche settimana fa, quando compravi il pane non potevi essere certa che qualcuno non facesse il “furbetto” e ti vendesse come freschi un filone o una pagnotta congelati. Grazie alla nuova etichetta per il pane, prevista dal decreto 1 Ottobre 2018, ora potrai fare un acquisto più trasparente.
- Occhio alla dicitura. Il pane che ha subito processi di surgelazione e congelamento o che contiene additivi chimici e conservanti non può essere più venduto per fresco e deve obbligatoriamente avere un’etichetta con la scritta conservato o a durabilità prolungata. Può quindi essere denominato “pane fresco” solo quello frutto di un processo di preparazione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi, conservanti e di altri trattamenti di conservazione.
- 72 ore di lavorazione. Per “processo di preparazione continuo” si intende quello per il quale, dall’inizio della lavorazione alla messa in vendita al consumatore, non trascorrano più di 72 ore. Per il “pane conservato o a durabilità prolungata”, nel caso sia utilizzato un metodo di conservazione ulteriore rispetto ai metodi già sottoposti agli obblighi informativi previsti dalla normativa (ad esempio pane precotto, surgelato o meno), nel momento della vendita deve essere fornita un’adeguata informazione anche sulle modalità per la sua conservazione ed il consumo, attraverso un’apposita dicitura da riportare in un cartello sui comparti in cui viene collocato questo tipo di pane, comparti distinti rispetto a quelli in cui viene messo in vendita il pane fresco. Infine, oltre alle indicazioni sul pane, è stata stabilita una precisa definizione del panificio che può definirsi tale solo se si tratta di un’impresa “che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno ed assimilati o affini e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale”. Quindi non può definirsi panificio un negozio che vende pane, magari industriale, prodotto da altre aziende.
Il nuovo decreto fa chiarezza sulla denominazione del pane fresco ma resta il problema di prevedere anche per il pane l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle farine utilizzate per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli ed alle imprese di far emergere il valore distintivo dei prodotti agricoli.
Il nuovo decreto ha salvato anche i pani della tradizione popolare italiana
Ben sei pani sono stati riconosciuti dall’Unione Europea: la Coppia Ferrarese, la pagnotta del Dittaino. il pane casereccio di Genzano, il pane di Altamura, il pane Toscano e quello di Matera.
Ma sono centinaia le specialità tradizionali. Dal “Pane cafone” campano, così chiamato perchè con questo termine erano appellati i contadini al tempo dei Borboni, al “Pan rustegh” della Lombardia che giustifica il vecchio detto “pane di villano, rustico ma sano”, dal “Pan ner” della Val d’aosta ottenuto da un impasto di segale e frumento, alla “Lingua di Suocera” piemontese nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento, a dir la verità, un pò troppo cattivello, alla lunghezza della lingue delle suocere..